lunedì 14 luglio 2025

La dragunera, strega marina dei venti

Nella tradizione siciliana viene chiamata ddraunàra, ddragunàra, addraunara e ddragunèra a seconda delle zone, oppure cura draunera – coda di dragona – ovvero dragunara o dragunera, dal sostantivo dràu, drago, la forza naturale che manifesta “tutta la potenza sprigionata dal vento”, in particolare quello proveniente dal mare, in quanto “il forte maltempo con le sue nuvole nere dall’appendice a forma di coda ricorderebbe la propaggine estrema del corpo di un drago, pronto ad abbattersi come una bestia feroce su case e raccolti”. (1)
La dragunera è dunque il vento sferzante che proviene dal mare, la violenta burrasca che si abbatte sugli scogli e scatena le acque, rendendole cupe, agitate e pericolose. Ma è altresì uno spirito femminile del mondo sottile, una donna-strega dei venti e della tempesta, imprevedibile e selvaggia, che poteva essere domata solo attraverso il rito del taglio del vento.
Così la descriveva l’etnologo e scrittore siciliano Giuseppe Pitrè: “(…) fisicamente è quella specie di procella che formasi da un turbine a foggia di colonna dal mare fino alle nuvole. Ma secondo il popolo è cosa ben diversa. Nella provincia di Caltanissetta la dragunara è una donna coi capelli sciolti, nuda, la quale, allo scoppiare d’una tempesta levasi da terra con la testa chinata sul petto, e giunta ad una certa altezza gira per aria prendendo forma di cupo e denso vapore o fumo nero. Chi riesce a colpirla, la taglia, ed essa vien giù pian pianino a pezzi ed a bocconi. Ma vuol essere tagliata con la mano sinistra e recitando uno scongiuro (Riesi).
In qualche comune della provincia di Girgenti è una strega che fa malie. Un uomo che la vede e vuole scongiurarla, porta nascosta sotto i panni una falce, e al momento opportuno la cava fuori e con essa scongiura e taglia la dragunera. Appena tagliata, cade lentamente a pezzi, che non si discernono; ma si vedono calze di seta, scarpe vecchie, arcolai ed altri arnesi da stregherie, che vengono giù dall’aria (Montevago). Potrebbe dirsi esser questi degli oggetti sollevati dalla tromba.
Per altri, però, è una immensa nuvola nera in forma di coda, donde il suo nome. Allora si taglia da un mancaruso, mancino, segnando una croce con una falce; e quando è piccola, con un coltello (Francofonte).
Per i marinai è un nuvolone, che piglia davvero forma terribile (…). L’acqua marina, che essa investe, viene subito aspirata e portata in aria, dove, divenuta dolce, resta un momento, indi trasportata dolce com’è in altre regioni. L’idea che il dragone insacchi l’acqua del mare è comunissima.” (2)
Esistono alcuni riti e scongiuri tradizionali per tagliare la coda della dragunera, e soltanto chi ha ricevuto questa facoltà in un momento preciso dell’anno – solitamente la notte di Natale – può effettivamente spezzare il vento e ammansire la dragunera (3). In caso contrario la sua furia si scatena libera e terribile, almeno fino a quando, stremata, si lascia svanire sul mare. O mutata in dolce brezza salina, abbandona la costa e vaga altrove, fino a scomparire in un soffio, o a infuriarsi di nuovo, in un’altra, terribile tempesta.

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Note:

1. Vedi l’articolo di Eva Luna Mascolino, La “ddraunàra”: da dove proviene il temutissimo vento di miti e racconti?, pubblicato sulla testata SicilianPost, Catania, 21 Aprile 2021

2. Vedi Giuseppe Pitrè, Usi e costumi credenze e pregiudizi del popolo siciliano, Vol. 3, pagg. 79-85.

3. Per approfondire i riti e gli scongiuri del taglio della coda della dragunera, vedi Giuseppe Pitrè, Op. cit., pagg. 81-85.

Bibliografia

Mascolino Eva Luna, La “ddraunàra”: da dove proviene il temutissimo vento di miti e racconti?, pubblicato sulla testata SicilianPost, Catania, 21 Aprile 2021
Pitrè Giuseppe, Usi e costumi credenze e pregiudizi del popolo siciliano<7i>, Vol. 3, Libreria Pedone Lauriel di Carlo Clausen, 1889

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