Un libro potente, scritto da una donna che sa intessere il potere nelle parole. Parole di oscurità, di perdita, di tramutazione, di rinascita e visione aperta e pura. Un libro che a volte resta in silenzio fino a quando il suo momento arriva, e comincia a chiamarti. Perché ha qualcosa da dirti. Qualcosa che è il momento che tu ascolti. Qualcosa di potente.
Le mie letture
La mano che cura
“Ana Gregoria le prese la mano sinistra e la esaminò con attenzione, la rigirò da tutte le parti, se la portò all’orecchio, la annusò, la soppesò e alla fine le ordinò di infilare la punta delle dita nella terra, vicino al cespuglio di ruta.
Soledad lo fece senza domandarsi troppo perché. Sapeva che la situazione era strana, che le maestre non insegnavano in quel modo, ma più che sapere pensò che andava bene, che c’era qualcosa in Ana Gregoria che lei voleva imparare. Infilò la punta delle dita nella terra e avvertì una piccola vibrazione, come se la terra reagisse al contatto con lei, e vide le foglioline allungate dalla ruta che si muovevano un po’ verso l’alto, agitandosi.
“Non preoccuparti, piccola Sole, questo succede perché hai i poteri.”
Tutta la schiena di Soledad si contrasse come capita ai gatti quando si spaventano o si mettono in allerta. Con la mano riuscì a vedere le radici delle sue piante che si muovevano. Riuscì a sentire l’aria che le entrava nelle orecchie e nel naso e che le faceva gonfiare un po’ la gonna della divisa. Guardò Ana Gregoria che sorrideva scoprendo tutti i denti, spalancando i suoi grandi occhi e capì che anche lei aveva i poteri. Che i poteri erano dappertutto e non erano niente ed erano tutto ed erano la terra e le radici e i fusti e le foglie e i fiori e i frutti e i semi e quello che marcisce nella terra e i peli degli animali e gli animali con la loro carne e le loro ossa e il loro sangue e i sassi che si muovono trasportati dal fiume e l’acqua del fiume e la pioggia che cade di notte e poi il giorno e poi la notte e lei e Ana Gregoria sedute lì, tutte e due sulla terra, sui poteri, che erano i poteri.”
“Uno non è niente. Uno è il canale attraverso il quale passa la verità. Tutto ciò che sarà è già stato. I poteri mostrano come far sì che torni a essere.”
“Poi è successo che sono morta. Non so come. Ero lì, fuori di casa, seduta per strada, e si spense tutto. Mi alzai e vidi il mio corpo disteso a terra (…). Mentre i miei fratelli mi portavano in casa, vedevo i colori dei loro passi sulla terra e il movimento del sangue nelle loro braccia e vedevo il vento come se fosse acqua e il mare come se fosse il cielo notturno pieno di cose vive. Tutto era pieno di cose vive che io sentivo e riconoscevo. (…)
A quel punto uscii di casa e camminai per le strade del paese per accertarmi che fosse vero che nessuno poteva vedermi. Era tutto così diverso che arrivai a sentire che i poteri mi riscaldavano le mani, e che, dato che il mio corpo non c’era più, io potevo essere molte altre cose e infilarmi e uscire da qualunque cosa volessi ed essere palma o caimano o pesce o granchio o sabbia o fango o pezzo di legno che galleggia nell’acqua o acqua. Potevo essere mia madre ed entrare dentro di lei e vederla da dentro e farle muovere i muscoli, gli occhi.
Trascorsi così circa cinque ore, capendo tutto, come se la morte mi avesse aperto gli occhi su quello che c’è davvero nel mondo anche se non lo vediamo perché non ne siamo capaci. Poi però capii che quella era soltanto una visita, che in fin dei conti non dovevo morire, che ero morta soltanto per un po’ per imparare alcune cose che ancora non sapevo, ma che dovevo vivere ancora. E tornai nella casa in cui mi stavano già vegliando e mia madre piangeva sul mio corpo, che avevano già vestito con l’abito migliore (…). Vidi che tutto quello che sarà è già stato. E che tutto quello che è stato sarà sempre.
Poi mi distesi sul mio corpo, che era duro e gelato, e mi sistemai fino a ritrovarmi perfettamente incastrata dentro me stessa, e poi mi mossi tutta da dentro, il sangue nelle vene, le fibre dei muscoli, le giunture delle ossa, mossi tutti gli organi, mossi le budella e le dita delle mani e dei piedi e alla fine potei risvegliarmi nella vita dei vivi e aprire le palpebre affinché quelli che mi piangevano vedessero di nuovo i miei occhi neri e capissero che non bisognava più piangere né fare una veglia funebre né comprare una bara.”
“Ci sono cose che una sa che ci sono anche se non le vede e altre che una vede anche se sa che non ci sono.”
Citazioni tratte da Lina Marìa Parra Ochoa, La mano che cura, Feltrinelli Editore, Milano, 2024, pagg. 30-31, 31, 33-35, 53.
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