sabato 1 novembre 2025

Le tre sorelle streghe di Forno di Rivara e il processo alle streghe di Rivara

Uno dei processi per stregoneria più noti in Piemonte, soprattutto perché pervenutoci intatto, è quello del paesino canavesano di Levone. Ebbe inizio il giorno 11 di agosto del 1474 e la sua tragica fine si consumò il 7 di novembre 1474 con la morte di Antonia de Alberto e Francesca Viglone, entrambe messe al rogo sulla sponda del torrente Malone.
Poco si conosce tuttavia di un episodio simile, che avvenne due anni prima, così come del successivo processo di Rivara, istruito nello stesso castello nel quale erano state interrogate, torturate e condannate Antonia e Francesca.
Ne riferisce Pietro Vayra nel suo studio pubblicato nel 1874, dove riporta che il 29 settembre del 1472, a Forno di Rivara – oggi Forno Canavese – vennero accusate di stregoneria tre sorelle, figlie di un certo Pietro Bonero. Di loro non è rimasto neanche il nome, a parte una delle tre, che pare si chiamasse Benvegnuta e che fu moglie di Turino Merlo. Tutte e tre le sorelle vennero condannate a morte e messe al rogo. Di loro è a stento sopravvissuta memoria.

Fu invece nello stesso giorno in cui Antonia e Francesca bruciarono come streghe che vennero compilati i primi atti del secondo processo svoltosi nel castello di Rivara. A questo proposito occorre precisare che, nonostante i due processi si svolsero entrambi a Rivara, il primo prese il nome dal paese di provenienza delle quattro donne accusate, ovvero Levone, mentre il secondo è ricordato come processo di Rivara, in quanto le donne accusate e imprigionate abitavano in diverse zone circostanti.
Si era dunque nel giorno 7 di novembre del 1474 quando, prima ancora che l’acre fumo dei roghi delle due donne levonesi si fosse disperso, prima ancora che la cenere si fosse raffreddata, si diede inizio a un nuovo tormento.
Questa volta le presunte masche erano cinque: Margarita Ardizzone Cortina di Favria, Turina Regis di Rivara, Guglielma Ferrero, Antonia Goleto e Antonia Comba, tutte e tre di Forno di Rivara.
Così ne accenna lo studioso Pier Luigi Boggetto: “Dai citati verbali di interrogatorio (…) si evince innanzitutto che l’iter giudiziario durò molto a lungo, fino ai primi mesi del 1475; fu consentito alle imputate di assumere una difesa, che fu esercitata dai loro parenti e in modo particolare dai figli; le arringhe difensive furono appassionate e a più riprese misero in discussione la legittimità e il ruolo stesso del tribunale e dell’inquisitore (…).” (1)
Purtroppo gli atti completi di questo processo sono andati perduti, pertanto non se ne conosce l’esito. Si presuppone tuttavia che, dopo il tragico destino subito da Antonia de Alberto e Francesca Viglone, le condanne per le altre cinque donne siano state più lievi.
Quel poco che è rimasto del processo di Rivara sembra descrivere almeno una delle donne, ovvero Margherita Ardizzone Cortina, come una sorta di guaritrice di campagna. Lei stessa affermò: “la gente va spargendo che sono una strega perché ho fatto seccare un rospo per porre sull’occhio di un nostro bue malato, ma veramente non è vero ch’io sia una strega”. (2)
Delle cinque fu invece Antonia Comba a subire la persecuzione e le torture peggiori. Sottoposta a ripetuti tormenti confessò di avere un uomo-demone di nome Giacobino e di aver partecipato al sabba, nel quale si mangiava e si danzava al suono della zampogna.
Quando il processo si interruppe e venne passato al Tribunale Vescovile di Torino se ne persero le documentazioni. Come accennato, non è rimasta traccia del suo esito e del destino che toccò alle cinque donne accusate.

Forno di Rivara, poi Levone e quindi Rivara, fra il 1472 e il 1475 vissero giorni oscuri e spietati, e non certo per colpa della stregoneria. Come sempre, il vero diavolo abita in coloro che vogliono a tutti i costi vedere il buio e il male laddove non ve ne è traccia, e ad essere sacrificate sono quasi sempre le donne: levatrici, guaritrici, a volte, mentre altre volte solo povere emarginate, malvedute e detestate.
Ad oggi queste donne vengono ricordate e celebrate negli stessi paesi che, un tempo, le denunciarono e mandarono a morte. Forse non è abbastanza – e forse a volte, in casi simili a questi, l’eccessiva commercializzazione dei processi per stregoneria stride con la buona fede di chi li vorrebbe valorizzare – eppure è qualcosa. E quel qualcosa è sempre importante.

***

Note:

1. Cfr. Pier Luigi Boggetto, Le streghe di Levone, pag. 115.
2. Cfr. Pietro Vayra, Le streghe nel Canavese, Torino, 1874, pag. 261, citato in Massimo Centini, Streghe in Piemonte, pag. 65.

Bibliografia

Boggetto Pier Luigi, Le streghe di Levone. Fra realtà e mito, Hever Edizioni, Ivrea, 2019
Centini Massimo, Streghe in Piemonte. Pagine di storia e di mistero, Priuli e Verlucca, Torino 2018
Sommo Pier Carlo, Storie piemontesi: le streghe del Canavese tra leggenda e atroci verità, 11 Gennaio 2021
Vayra Pietro, Le streghe nel Canavese o Due processi dell’inquisizione, Piemonte in Bancarella, Torino, 1970

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