Dopo aver approfondito e riflettuto molto sul processo alle streghe, o masche, di Levone, sto continuando gli studi secondo ciò che più mi suscita attrazione e ispirazione. In attesa di parlare di un altro processo nella zona milanese, mi sono soffermata in particolare su quello istituito contro sette donne a Venegono Superiore, nel varesotto. Qui ho trovato davvero tanto per il tipo di ricerca che sto facendo per me stessa. A questo particolare processo - definito nei documenti originali processus strigiarum - dopo averlo sentito nominare alcune volte in passato, sono arrivata passando prima di tutto da un romanzo molto bello che l’autrice Chiara Zangarini ha scritto sull’argomento.
Amo leggere la storia di queste donne come fosse una narrazione, specialmente quando non è opera di fantasia ma si basa sui documenti concreti e quindi diventa una vera e propria ricostruzione storica in forma di racconto. L’autrice ha trattato l’intero processo concentrandosi in particolare su una delle donne accusate, ovvero Elisabetta degli Oleari, la quale viene definita magistra delle altre streghe negli atti processuali - su questo argomento specifico, che mi è molto caro, tornerò in seguito.Mentre al momento sto approfondendo la parte processuale grazie all’eccellente libro di Anna Marcaccioli Castiglioni, Streghe e Roghi nel Ducato di Milano. Processi per stregoneria a Venegono Superiore nel 1520, che ho avuto la fortuna di riuscire a procurarmi, vorrei riportare alcuni brani davvero belli che ho tratto dal libro di Chiara Zangarini.
Dei dettagli del processo che più mi hanno colpita scriverò a breve una riflessione, sia attingendo al romanzo storico, sia ovviamente agli atti processuali veri e propri.
Non appena mi sarà possibile, scegliendo il momento propizio per conoscere quei luoghi con la giusta luce, farò un breve viaggio a Venegono Superiore. Non ero a conoscenza del percorso delle streghe che hanno creato nel bosco e mi piacerebbe farne esperienza. Magari mi donerà qualcosa, o magari nulla, sui miei liberi passi cercherò di cogliere ciò che arriva a me, in pieno rispetto di ciò che invece hanno vissuto e colto coloro che hanno camminato prima di me quella stessa via.
Seguono alcuni dei bellissimi brani di Chiara Zangarini, tratti dal suo libro Elisabetta degli Oleari strega:
“Volavano attraverso il camino o uscivano dalla porta chiusa, salivano molto in alto, si spostavano in ogni direzione e vedevano le nuvole, i cieli bassi, mandrie di animali e altre donne volanti, fiumi di metallo fuso. Mille colori cangianti tingevano il cielo e tutto roteava intorno a loro. Nelle orecchie risuonavano musiche mai udite prima. Giungevano poi al luogo del sabba (…).” (1)
“Altre volte al barlotto i diavoli arrivano dopo. Ognuna porta la sua scopa ed Elisabetta porta l’unguento. Ci spogliamo, spalmiamo l’unguento sul corpo e poi sul bastone e ce lo sfreghiamo bene sotto le ascelle e sulla vulva e, non so come, poco dopo iniziamo a volare. Animali, buoi, cavalli, cinghiali, gatti neri prendono il posto delle scope; altre volte si trasformano loro stesse in vacche, civette, capre. Volando basso, entriamo nelle case e nelle stalle dai camini o dalle porte socchiuse, come fa il vento. Poi ci libriamo in alto e veniamo travolte da un’orgia di colori, musiche, danze. Infine, i nostri diavoli ci raggiungono e facciamo l’amore molte, molte volte. (…) e torniamo a casa prima dell’alba per non destare sospetti. Ci infiliamo nel saccone di soppiatto e il giorno successivo dormiamo fino a tardi. Al risveglio, ho sempre la mente annebbiata, la testa mi scoppia, la realtà si confonde con i sogni e viceversa, ma l’esperienza è strabiliante, al di là di ogni immaginazione. Come un bellissimo sogno, però è vero.” (2)
“L’hanno spogliata, l’hanno rasata, l’hanno portata nella stanza della tortura e legata alle corde. L’hanno mostrata nuda davanti a tutti quegli uomini. Sì, i frati, i testimoni. Tutti a guardare in su, mentre la sollevavano. Maiali schifosi, pensava.
Poi però chiudeva gli occhi e se ne andava da un’altra parte. Spiccava il volo. Come quel giorno lontano, nei campi dietro il mulino. Volava sempre più in alto. Le pareti della prigione non esistevano più e lei volava nel cielo rosa dell’alba mattutina, in quello rosso del tramonto e in quello nero della notte. Volava sulle foreste, sulle pianure, tra le gole delle montagne e sui ghiacciai. Sempre più in alto. Poi, di colpo, si tuffava in un lago profondo, blu, e nuotava tra i pesci e le alghe viola che le accarezzavano il corpo. I raggi del sole penetravano nell’acqua e le cose assumevano contorni vaghi e indefiniti. Una forza irresistibile la riportava in alto, vicino al sole, nella luce. E li rimaneva, a farsi scaldare, ad assorbire quella forza meravigliosa che scaturiva da lui per poi rituffarsi e risalire, rituffarsi e risalire, rituffarsi e risalire.
Negli ultimi giorni Elisabetta si chiuse in un mutismo assoluto. Non aprì più la sua bocca. Non era più in quella prigione. Non aveva fame né sete. Non provava dolore e nessuno la torturava. Era tornata bella, era tornata la giovane dai capelli neri e ribelli e dagli occhi blu. Era tornata a casa, dai suoi gatti e dai suoi fiori.” (3)
***
Note:
1. Tratto da Chiara Zangarini, Elisabetta degli Oleari strega, Pietro Macchione Editore, Varese, 2024, pag. 73.
2. Ibidem, pag. 90.
3. Ibidem, pagg. 156-157.
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