All’epoca dei processi per stregoneria, era usuale da parte degli inquisitori istituire durante alcuni giorni il cosiddetto tempus gratiae, o tempo della grazia.
Veniva affisso, solitamente all’ingresso delle chiese, un avviso generale nel quale si invitava chiunque avesse sospetti di eresia o stregoneria nei confronti di altre persone, a denunciarle, o addirittura ad auto-denunciarsi se pensava di aver involontariamente preso parte a situazioni eretiche o stregoniche. Se lo avesse fatto, avrebbe avuto la certezza di essere assolto e perdonato; se non lo avesse fatto avrebbe rischiato la scomunica. Naturalmente non vi era alcuna certezza di assoluzione – se mai il contrario – e il cosiddetto tempo della grazia, se a parole aveva lo scopo di ricondurre gli eretici al pentimento e all’abiura, in realtà non era che un pretesto per ottenere informazioni sulla presenza di eretici e streghe in loco, e dare inizio alla persecuzione. Questa, il più delle volte, sfociava nelle fiamme del rogo.
Il tempus gratiae venne utilizzato molte volte, ma mi riferirò in particolare al processo alle streghe di Venegono Superiore.
Martedì 20 marzo 1520, frate Battista da Pavia dell’Ordine dei Predicatori, “quale inquisitore della Diocesi di Milano e in special modo per la terra di Venegono Superiore e suo distretto”, riceve l’autorizzazione a proclamare il tempus gratiae in Venegono. Egli fa affiggere sulla porta della chiesa di Santa Maria in Castro di Venegono Superiore il primo pubblico avviso generale “dove s’invitano tutti coloro che sono a conoscenza dell’esistenza di eretici, streghe e stregoni, a denunciarli entro tre giorni all’Inquisitore stesso.” (1)
Questa è una parte di ciò che viene proclamato nel pubblico avviso:
“[Frate Battista da Pavia] rende noto a tutti gli abitanti della terra di Venegono Superiore e suo distretto, maschi e femmine, di qualsiasi condizione sociale, lata sententia quale giudice ordina per iscritto, premessa l’ammonizione canonica una sola volta, che vale per tre (…), se qualcuno o qualcuna sa o ha visto o sentito, di eretici, entro i soprascritti termini li denunci o, se lui stesso o altri o altre hanno commesso qualsiasi crimine di eresia, questi peccatori o peccatrici, rinnegando ogni errore, ritornino subito nel cuore de nel grembo di Santa Madre Chiesa entro detto termine, rigettino ogni errore, pena la scomunica.
Essi saranno bene accolti e potranno beneficiare dell’indulgenza, del perdono e della misericordia per qualsiasi crimine o eccesso da loro commesso.
Inoltre se fossero a conoscenza di qualche cosa d’altro, entro il detto termine, con fiducia lo denuncino, guidati solo dal timore di Dio che tutto vede.
Se qualcuno non lo farà, incorrerà nella sentenza di scomunica che comminerà sin da ora, per allora, contro i contumaci e disubbidienti “sedendo pro tribunali”. Da questa scomunica nessuno potrà essere assolto, se non dalla Sede Apostolica.” (2)
In Venegono si presentano subito a denunciare tre uomini, e la caccia alle povere donne accusate ha inizio. Saranno sette quelle che, giudicate colpevoli, saranno messe al rogo – una di loro, morta durante il processo, verrà riesumata e bruciata assieme alle altre, davanti agli occhi di sua figlia.
Il tempus gratiae era una delle più subdole trappole dell’Inquisizione. Gli abitanti dei villaggi, spesso ingenui e di poca cultura, fidandosi della parola di religiosi altolocati cadevano nel tranello, o vi prendevano parte volontariamente per vendicarsi di antipatie personali, e denunciavano, denunciavano, denunciavano. Spesso, così facendo, rischiavano di essere imputati per primi, e quando si accorgevano della trappola era ormai troppo tardi.
A dispetto del suo nome, il tempo della grazia era in realtà una tela di ragno perfettamente congegnata, dalla quale era oltremodo difficile, se non impossibile, liberarsi.
Questa trappola andava di pari passo con un’altra, che veniva messa in atto poco dopo, di modo da non lasciare alcuno scampo alle accusate.
Una volta che coloro che erano state denunciate – mi rivolgo al femminile in quanto la maggior parte sono sempre state donne – comparivano davanti all’inquisitore, venivano invitate a confessare, poiché se lo avessero fatto e avessero dimostrato pentimento, l’inquisitore prometteva loro misericordia e perdono. Le donne si fidavano, l’inquisitore aveva promesso perdono. Aveva promesso, e un religioso non può in alcun modo commettere spergiuro.
A “risolvere” questa situazione ci pensavano gli insegnamenti del Malleus Maleficarum, messi in pratica numerose volte, compreso a Venegono Superiore.
“Nel Malleus Maleficarum troviamo delle istruzioni molto crude e ciniche, riguardo a queste promesse di misericordia e perdono. Infatti i due autori, Heirich Institor e Jakob Sprennger, a loro volta famosi inquisitori del secolo XV, si premurano di avvertire gli altri inquisitori che si può promettere perdono e clemenza per carpire una confessione. Basta che, una volta ottenuta, l’inquisitore vincolato a questa promessa abbandoni il processo e al suo posto subentri un altro inquisitore, che non ne è vincolato.” (3)
A Venegono Superiore, a frate Battista da Pavia, vincolato alle sue promesse, verso la fine del processo – quando tutte le confessioni sono state ottenute – subentra infatti un secondo inquisitore, Michele d’Aragona. E le donne finiscono al rogo.
Lo stesso procedimento viene utilizzato innumerevoli volte, spesso insieme al tempus gratiae.
Il tempo della grazia invita, pena la scomunica, a denunciare. Le promesse di clemenza inducono le donne e gli uomini accusati a confessare, invogliati anche dalla tortura. Il frate promettente si dilegua, e le vittime sono condannate. Si potrebbe dire che nel momento stesso in cui il tempo della grazia viene istituito, le prime fiamme del rogo sono già accese.
Una macchina dell’inganno perfetta, in ognuno dei suoi ingranaggi. Un dettaglio in più che descrive l’orrore e la disumana spietatezza dei processi per stregoneria, e soprattutto dei loro artefici. Gli unici veri demoni, travestiti da eroi del cristianesimo. Strumenti di un male che esiste e fiammeggia – solo – nei loro occhi.
***
“Così noi lavoriamo, come prescrivono il Malleus e altri autorevoli testi di studiosi e inquisitori: il giudice può promettere salva la vita alla strega, affinché riveli i nomi delle complici, ma in seguito si esoneri dall’emettere la sentenza e sia sostituito da un altro.” (4)
***
Appendice
In aggiunta a quanto scritto, vorrei riportare le parole esatte che l’inquisitore Battista da Pavia rivolgeva alle imputate all’inizio dei loro interrogatori, poco dopo che ognuna di esse si presentava davanti a lui.
Le parole rivolte a Tognina del Cilla:
“Interrogata, se ha commesso qualche cosa contro Dio e la fede cattolica, la confessi liberamente, affinché le sia concessa indulgenza e perdono per tutti i suoi crimini, risponde: sì.” (5)
Le parole a Maddalena del Merlo, detta ravizina:
“Interrogata, se ha commesso qualcosa contro Dio e la fede cattolica, lo confessi spontaneamente, e le sarà usata indulgenza e le si perdoneranno tutti i suoi crimini (…).” (6)
Le parole a Majnetta, detta codera:
“Interrogata, esortata con dolcissime parole e ammonita che, se dirà tutta la verità, le sarà usata clemenza e perdono, mentre è minacciata che, in caso contrario, sarà messa alla tortura (…).” (7)
Al termine delle confessioni, ottenute con e senza tortura, il frate inquisitore che ha promesso perdono di tutti i crimini commessi, si dilegua insieme alle sue promesse e al suo inganno. Subentra, come detto, l’inquisitore Michele d’Aragona. Il passaggio di consegna viene semplicemente comunicato con queste parole:
“Questo processo è stato celebrato dal reverendo signor inquisitore frate Battista da Pavia, ma occupato da altre cause egli non può portare a termine il processo.” (8)
L’opera è compiuta. Le streghe vanno al rogo.
***
Note:
1. Cfr. Anna Marcaccioli Castiglioni, Streghe e Roghi nel Ducato di Milano. Processi per stregoneria a Venegono Superiore nel 1520, pag. 30.
2. Ibidem, pag. 75.
3. Ibidem, pag. 55.
4. Tratto da Chiara Zangarini, Elisabetta degli Oleari strega, pagg. 15-16.
5. Cfr. Anna Marcaccioli Castiglioni, op. cit., pag. 133.
6. Ibidem, pag. 155.
7. Ibidem, pag. 193. Le dolcissime esortazioni vengono utilizzate molte volte durante il processo, in relazione anche ad altre imputate.
8. Ibidem, pag. 165.
Bibliografia
Marcaccioli Castiglioni Anna, Streghe e Roghi nel Ducato di Milano. Processi per stregoneria a Venegono Superiore nel 1520, Thelema Edizioni, Milano, 1999
Merlo Grado Giovanni, Streghe, Società editrice il Mulino, Bologna, 2006
Zangarini Chiara, Elisabetta degli Oleari strega, Pietro Macchione Editore, Varese, 2024
Nessun commento:
Posta un commento