giovedì 26 settembre 2024

Ul Ticar, la Strega di Varzo

“Una volta gli abitanti di Oira non dormivano sonni tranquilli, perché di tanto in tanto scendeva dalla Colmine qualche pastore ad annunciare che ul Ticar andava aumentando il crepaccio, e che da un giorno all’altro o da una notte all’altra poteva precipitare sui terreni e sull’abitato, seminando rovina e morte.
Questo incubo dul Ticar aveva indotto oltre un secolo fa certo Della Via a vendere tutta la sua sostanza per 30 svanziche milanesi, mentre il valore superava le 1000.
Come venne originata la voragine che quasi stacca l’enorme macigno dalla montagna?

Narra una leggenda che un giovane di Coggiola, frazione di Varzo, si era innamorato di una bella giovane di Oira, che trascorreva l’estate sull’alpe Colmine a pascolare le mucche; ma i parenti del giovane si opponevano al matrimonio, perché volevano dargli in isposa una varzese molto ricca.
Visto che ogni insistenza riusciva vana, si rivolsero ad una strega soprannominata “la tigre”, affinché provvedesse lei a rompere ogni legame fra i due amanti.
La strega si trasformò in falco e volò sulla montagna. Spiò i giovani e sentendo che stavano combinando per celebrare il matrimonio, chiese al diavolo di scatenare uno spaventoso uragano e che un fulmine incenerisse la bella oirese.
Dense nubi, foriere di tempesta, avvolsero la montagna, fulmini e tuoni sembrava facessero cadere il monte.
Il sacrista di Oira, vedendo che il turbine stava per abbattersi sul paese, corse in chiesa e suonò con tutta forza la campana maggiore per scongiurare il pericolo.
Al suono della campana benedetta, il fulmine che doveva incenerire la giovane, colpì la strega, che precipitando cagionò la formidabile voragine; e il macigno che incombe quasi minaccioso su Oira, ma che è più sicuro che mai, si chiamò ul Ticar, in ricordo del soprannome della vecchia strega di Varzo.”

Tratto da Sebastiano Ferraris, Novelle e leggende ossolane e altri scritti, Edizioni Grossi, Domodossola, 1997, pagg. 157-158.

***

Una strega chiamata la Tigre viveva dunque, un tempo lontano, a Varzo, nel cuore della Val d’Ossola. Una strega che poteva mutare forma, e che nella leggenda prende le sembianze di un nobile falco, che sorvola il paesino di Oira alla ricerca della sua preda. Una strega malvagia, tuttavia, come spesso vengono descritte le streghe della tradizione – o semplicemente tanto abile nel guarire quanto nell’uccidere, a metà fra la luce e il buio – che, come altrettanto spesso accade, fa una brutta fine. O forse no. Diventa voragine, roccia, macigno, montagna. E resta ancorata alla terra per sempre.
La tigre, ul Ticar, è stata dimenticata, nemmeno gli abitanti di Oira ricordano questa storia, o sanno indicare con precisione quale sia esattamente il macigno di cui parla. Ma da qualche parte, fra quelle vette aspre e scoscese, il suo spirito vaga ancora. Forse nelle nubi minacciose che velano la cima delle montagne, simili a grigi fumi che salgono e si disperdono, o forse nella forza naturale, protettiva, che permette che tutto resti esattamente com’è, e tiene saldo il macigno, strettamente aggrappato alla roccia, così che non si stacchi e crolli sul paese.
La tigre osserva, si confonde con la roccia, si nasconde fra le nuvole. E anche se è stata dimenticata, non dimentica. È lo spirito del luogo, e lassù, da qualche parte, veglia. Come roccia, nube, montagna, falco.

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A breve sarà disponibile una pagina del mio Diario di Viaggio, con il resoconto del breve viaggio a Oira, alla ricerca dul Ticar.

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